TRAVAGLI DEMOCRATICI

Il "coraggioso" Rossi pronto a guidare il Pd piemontese

Il consigliere di Palazzo Lascaris si candida al congresso regionale: "Basta con le vecchie appartenenze". Novarese, animatore in parrocchia e fondatore di Libera nella sua città: "Ho trovato la sinistra nella Teologia della liberazione più che in Togliatti"

“Sono a disposizione”. Non serve essere avvezzi al politichese né padroneggiare il glossario del Pd per comprendere come questa formula, usata per la prima volta dal consigliere regionale Domenico Rossi, rappresenti di fatto una discesa in campo. Il suo nome circola da settimane negli ambienti dem come possibile candidato alla segreteria piemontese, ma lui finora era rimasto defilato. “Sto per compiere 45 anni, in tasca ho sempre avuto solo la tessera del Pd e quella di Libera” racconta allo Spiffero. E forse proprio la condizione di nativo democratico, che non è stato ex Ds o ex Dc, potrebbe essere un atout in tempi di rinnovamento (guai a parlare di rottamazione). Insomma, è ora di archiviare gli “ex”? “Tutti noi abbiamo un passato, se però a connotare l’identità di molti è una militanza risalente a quindici o venti anni fa vuol dire che il Pd ha in parte fallito. Al di là delle appartenenze passate dobbiamo decidere chi siamo oggi, cosa ci tiene insieme e cosa vogliamo fare domani”.

Lucano di nascita e novarese di adozione, un diploma al liceo scientifico e una laurea in Filosofia prima di finire a dirigere un centro di formazione. Questo è Domenico Rossi, per tutti Mimmo, la cui famiglia è migrata dalla Basilicata in Piemonte all’inizio degli anni Novanta quando il papà, operaio dell’Eni, è stato trasferito nella centrale di Trecate. Aveva 12 anni quando ha messo piede per la prima volta a Novara, a 35 l’allora sindaco Andrea Ballarè gli consegnò il premio di “Novarese dell’anno” per l’impegno alla guida della locale sezione della donciottiana Libera, “una soddisfazione doppia per chi come me qui non ci è nato”.

Un anno dopo è stato eletto per la prima volta a Palazzo Lascaris e da quel momento si è specializzato sul core business della Regione, la sanità. Ed è proprio su questa che oggi da candidato in pectore attacca il governatore Alberto Cirio: “È sotto gli occhi di tutti il disastro sulle liste d’attesa, mentre l’edilizia sanitaria è completamente bloccata”. Intanto, però, nel Lazio e in Lombardia il centrosinistra non è riuscito a trovare unità e non sono mancate le polemiche per la scelta dei candidati. In Piemonte c'è chi teme che la sua candidatura possa essere una polizza per le ambizioni di Daniele Valle, suo compagno di banco in via Alfieri, con cui il rapporto è piuttosto stretto. “Dobbiamo confrontarci tra noi coinvolgendo anche quel mondo civico che rifugge la destra. Senza dimenticarci che di fronte a una pluralità di candidature autorevoli la strada maestra per me restano le primarie”.

La candidatura di Rossi ha preso forma nella fucina dei sostenitori di Stefano Bonaccini, tra quanti in Piemonte puntano sul governatore dell’Emilia-Romagna per il vertice del Nazareno. Rossi non si è ancora apertamente schierato. “Non vorrei sembrare troppo ecumenico ma penso che dovremmo ringraziare tutti coloro che si sono messi in gioco, soprattutto in un momento così difficile per il Pd” è la premessa. “Detto questo – prosegue – stimo Elly Schlein per quello che sta facendo ma oggi mi pare che Bonaccini abbia una solidità maggiore per dare un’identità a questo partito e avviare un dialogo con gli alleati”. Un atteggiamento prudente volto ad allargare il consenso anche al di fuori della propria area “perché la mia proposta ha senso se riesce ad andare oltre le filiere nazionali”.

A fine ottobre, assieme a Brando Benifei, capo delegazione dei dem al Parlamento europeo, Rossi ha dato vita a Coraggio Pd, un’assemblea di under 40 (o poco più) in cui è stato messo sotto accusa l’intero gruppo dirigente, colpevole di essersi interessato più alla propria sopravvivenza che alle sorti del partito. Una mezza rottamazione, pur senza quella carica eversiva del nascente renzismo. Ed è proprio con Benifei che nei prossimi giorni annuncerà la sua scelta nella partita nazionale che, salvo improbabili sorprese, dovrebbe andare sul governatore emiliano-romagnolo.

Rossi è sempre stato considerato un esponente della sinistra del Pd pur non essendo cresciuto all'ombra della Quercia. “Sono stato a lungo animatore in parrocchia e posso dire che ho trovato il senso della sinistra nella Teologia della liberazione più che in Togliatti”. Ma qual è il partito che ha in mente? “Innanzitutto un Pd che dal giorno dopo il congresso sia in grado a lavorare unito e pancia a terra in vista delle elezioni regionali”. Questo è il minimo, intanto però il tesseramento è crollato e i sondaggi danno il Pd in picchiata. “Dobbiamo chiederci come possiamo tornare a essere attrattivi. Per esempio, io sono convinto che se una persona oggi venisse in un nostro circolo per partecipare a una riunione non ci capirebbe niente e non saprebbe in che modo essere utile. Noi dobbiamo imparare a coinvolgere persone nuove, dobbiamo rendere le nostre sezioni un posto accogliente in cui i tesserati si sentano coinvolti nella vita del partito e della comunità”.

Il radicamento sul territorio deve diventare strumento per “unificare la dimensione politica con quella pedagogica e in questo senso sostengo l’idea di Bonaccini di aprire una scuola di politica”. Un tempo erano le Frattocchie, “in Piemonte possiamo partire da una conferenza permanente degli amministratori locali, che è anche un modo per instaurare un confronto quotidiano con chi è quotidianamente alle prese con i problemi del suo territorio, magari lontano dai grandi centri perché per sentirsi in periferia non occorre vivere in una grande città”.

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