Meglio tardi che mai

Finalmente! Finalmente, sabato scorso migliaia di persone sono scese in piazza per difendere la Sanità pubblica. Un lunghissimo corteo si è snodato infatti per via Nizza, sino a raggiungere la nuova sede della Regione Piemonte: il costosissimo grattacielo progettato da Massimiliano Fuksas. Il palazzo, seppur presidiato da ingenti forze dell’ordine, era deserto (poiché sabato), ma i comizi tenuti sul piazzale antistante al suo ingresso hanno comunque creato il forte effetto simbolico voluto dagli organizzatori.

Sigle sindacali, con le proprie bandiere, partiti e cittadini hanno voluto manifestare in questo modo il pieno dissenso nei confronti della gestione del servizio sanitario, quasi del tutto affidata alle strutture private. Un fenomeno, quello della privatizzazione, che è iniziato tanti anni fa per volontà di una classe politica (decisamente trasversale) abbagliata dalla visione economica ultraliberista, sostenuta con forza dalla Confindustria e dagli investitori/speculatori globali, secondo la quale lo Stato affida i suoi servizi all’esterno.

Presidenti appartenenti alla compagine del Centrodestra, come colleghi dell’alleanza del Centrosinistra, hanno scelto di affossare il Servizio Sanitario Nazionale. La lobby degli imprenditori ha dominato per decenni la scena politica, condizionando soprattutto gli eletti espressi dall’area cattolica, la stessa che è proprietaria di cliniche e centri diagnostici. Torino, Milano e altri capoluoghi regionali hanno assistito nel tempo a un’incredibile espansione del settore privato, il quale ha incamerato convenzioni e conseguenti rimborsi. La spesa sanitaria regionale elargisce contributi alle società commerciali per un ammontare quasi pari a quelli assegnati agli ospedali pubblici.

La coperta, ci dicono, è sempre corta. Di conseguenza tutte le erogazioni assegnate dalle Regioni ai privati si traducono in minori risorse date al Sistema Sanitario. Minori entrate corrispondono, nella rete ospedaliera, a maggiori difficoltà per medici, personale e pazienti; si traducono in liste di attesa infinite, anche per patologie gravi, e insufficienza cronica di posti letto. È un cane che si morde la coda, poiché più i tempi di intervento del Pubblico si allungano e più i cittadini si rivolgono al sistema privato, incorrendo anche in esborsi piuttosto elevati laddove le convenzioni non coprono i costi delle cure. Morale, gli imprenditori festeggiano maggiori profitti, mentre si contrae proporzionalmente l’investimento a favore della Sanità: contesto che favorisce inoltre l’espansione delle assicurazioni private.

Il folle sistema sanitario americano, dove agli indigenti non sono fornite cure, è entrato in Europa passando dalla finestra, un po’ alla volta. Nella distrazione generale, la legge che nel 1978 istituiva il Servizio Sanitario Nazionale, incentrato sui principi della universalità delle cure e dell’eguaglianza nel potervi accedere, ha subito continue e gravi erosioni, sino a venir di fatto abrogata con l’istituzione delle ASL (i cui principi si reggono sul risparmio generato dall’austerità perenne).

Gli anni della pandemia avevano fatto sperare in un’inversione di tendenza, poiché la politica sembrava aver preso atto di come il complesso ospedaliero Pubblico si fosse dimostrato l’unico in grado di combattere con efficacia il Covid. Nel 2020 il Parlamento discuteva addirittura in merito alla convenienza di riaccentrare la Sanità in capo allo Stato, e contemporaneamente il Governo (Conte II) varava contributi per miliardi di euro destinati alle Regioni per il potenziamento degli ospedali stessi. Una speranza durata davvero poco, e infrantasi davanti alla scelta delle giunte di non spendere quei fondi, ma di allargare le convenzioni con i privati anche inserendo ambiti di intervento prima inediti.

In sintesi, la tragedia avvenuta nel triennio in cui ha dominato il virus non ha insegnato nulla agli amministratori eletti, se non negli immediati, sparuti, attimi di drammatica emergenza. Oggi tutto sembra tornato come nell’epoca in cui dominava indisturbato lo slogan “Privato è bello, Privato è il futuro”, ma con un’aggravante: la crisi economica e la speculazione, fonti di ulteriore povertà, costringono milioni di persone a dover scegliere tra il curarsi e pagare le bollette. Sparisce così, e in barba alla Costituzione, il principio dell’universalità delle cure e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla malattia.

La manifestazione, seppur tardiva, di sabato scorso rappresenta davvero una nuova speranza, ma per essere tale non può trasformarsi in uno spot, in una tantum. Alla politica, specialmente quella che ha radici nel sociale, si richiede ora uno sforzo in più che passi anche dalla severa autocritica per i tanti errori commessi nel passato.

Difendere e potenziare la Sanità pubblica è un atto non rinviabile oltre, poiché è l’unica vera salvaguardia della dignità e della vita di noi tutti.

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