CASTA & CORPORAZIONI

Oltre la tessera il tesserino:
in Regione ci vuole Ordine

Palazzo Lascaris bandisce un concorso per un posto da "esperto ufficio stampa e relazioni esterne" in cui tra i requisiti non c'è quello di essere iscritto. Ricorso al Tar e polemiche: "Rispettare la legge 150". Una reazione che sa tanto di chiusura corporativa

Oltre la tessera, quella di partito, ora serve pure il tesserino, quello dell'Ordine dei giornalisti. Per lavorare in Regione se la prima spesso aiuta, per entrare nei ranghi magari passando dalla porta secondaria dei gruppi consiliari, la seconda è indispensabile, almeno per operare negli uffici di comunicazione. Anzi, per i vertici professionali e sindacali della categoria è assolutamente obbligatoria, essendo sancito dalla legge 150 del 2000 “che, dopo anni di battaglie condotte dai giornalisti pubblici, ne ha riconosciuto pienamente la professionalità” scrivono in una nota il presidente dell’Ordine Stefano Tallia e la segretaria della Stampa Subalpina Silvia Garbarino. In verità, imporre l'accesso solo ai possessori del patentino sa molto di barriera corporativa e pure la giurisprudenza non è affatto unanime (per non dire di chi da tempo propone l'abolizione dell'Ordine). Ma tant'è.

I due, a fronte della decisione della Regione Piemonte di bandire concorso per un posto da “esperto ufficio stampa e relazioni esterne” per il Consiglio regionale in cui tra le caratteristiche richieste per prendere parte alla selezione, non è inserita l’iscrizione all’Ordine, hanno depositato un ricorso al Tar chiedendo l’annullamento della procedura. Una decisione, spiegano, arriva dopo il tentativo fallito di aprire un dialogo con la Regione sulla vicenda. “La via legale – commentano Tallia e Garbarino – rappresenta la soluzione estrema alla quale siamo stati costretti dal totale disinteresse dell’amministrazione pubblica ai nostri rilievi. Con il ricorso vogliamo difendere da una parte le prerogative professionali dei giornalisti, il cui lavoro non può essere svolto da chi non ne possiede il titolo, dall’altra il diritto dei cittadini a una corretta informazione che può essere meglio assicurata da chi, essendo iscritto a un ordine professionale, è chiamato a rispettarne le carte deontologiche. Carte che costituiscono anche una barriera verso pressioni indebite”. “Fatte le dovute proporzioni – concludono Tallia e Garbarino –, sarebbe come se un ospedale bandisse un concorso per un chirurgo senza pretendere il titolo professionale: quanti sarebbero disposti a entrare in quella sala operatoria?”. Fatte le dovute proporzioni.

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