GIALLOROSSI

Pd-M5s, lo stallo alla piemontese sul tavolo di Conte e Schlein

Il campo largo è un pantano. Tra diffidenze e rancori, a livello locale non si fanno passi avanti. I due leader valutano se e come intervenire. La coincidenza con le europee non agevola. Un incontro nei prossimi giorni? Rumors dal Nazareno e da Campo Marzio

Un campo largo che sembra sempre più un pantano, dove persino tracciare i solchi per seminare un’alleanza che necessita di cure e tempo per essere offerta all’elettorato piemontese è impresa, ogni giorno che passa, più complicata. Come accade nelle sabbie mobili, più ci si muove, più ci si agita e più si sprofonda. È quello che sta succedendo nel complesso rapporto tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, con il partito di Elly Schlein che mostra maggiori ed evidenti difficoltà. Dopo aver rivolto strazianti appelli all’unità, blandito chiunque gli passasse sotto il naso con fattezze vagamente progressiste, fatto ammenda del proprio passato, incassato con stoica sopportazione umiliazioni e sputazzi, non sa più che fare. Persino i più incalliti fautori del fronte giallorosso iniziano a temere che il cul-de-sac possa trasformarsi in qualcosa che l’assonanza rende inequivocabile.

In queste ultime due settimane, appena si è cercato di tradurre in atti concreti le dichiarazioni d’intenti sono emerse non solo tutte le differenze tra le due forze politiche, ma hanno preso piede le diffidenze reciproche, i rancori mai sopiti. Il tutto, per quanto riguarda il Pd, intrecciato agli assetti interni di un partito in congresso permanente. Scenario perfetto di uno stallo che, anche per i profili dei protagonisti, più che alla messicana vien da dire alla piemontese. In fondo, difficile non vedere oggi la futuribile coalizione nella bagna.

Un’impasse che costringerà, probabilmente già nelle prossime ore, a passare la patata bollente nelle mani dei vertici nazionali di entrambi i partiti. Le prove di confronto sul terreno regionale hanno dato, fino ad ora, esiti sconfortanti e ogni passo ha avuto l’effetto di affondare anziché procedere. Le parole al miele e gli autodafé di Chiara Gribaudo (tra cui, quello più singolare per un’aspirante presidente della Regione, dichiararsi disponibile a far tornare allo Stato gran parte delle competenze sulla sanità) non hanno minimamente intenerito Chiara Appendino che anzi è stata particolarmente intransigente nel porre condizioni e piantare paletti, pur dicendosi incline al dialogo. Le è stato concesso persino di ammantare di ragioni politiche l’acrimonia che nutre nei confronti del suo successore a Palazzo civico. Talmente abile che le versioni dei resoconti giornalistici del suo intervento sono state le più varie, finanche opposte: chi ha colto aperture al campo largo, chi una chiusura e chi come al solito non ha capito nulla. Per fare politica, tra le tante qualità, servono generosità e coraggio; e Appendino difetta dell’una e dell’altra: sarebbe ora che qualcuno anche nella “base” grillina ne chiedesse conto. Trattare con disprezzo l’atto di contrizione di Lo Russo che ha ammesso a denti stretti che “gli anni dei 5 Stelle che incontrai nel 2016 sono davvero lontani anni luce, mi sembra ci sia stata un’evoluzione molto rilevante” magari placa la pancia ma non raffredda la testa. Non che non abbia motivi, l’ex sindaca, di avercela con l’allora capogruppo Pd per aver portato la battaglia politica dall’aula della Sala Rossa a quella del tribunale. Un inciampo grave, una sgrammaticatura deprecabile per un politico scafato, di cui a detta di quanti lo conoscono bene si è pentito. In ogni caso, con questi sentimenti il campo è alle ortiche.

Toccherà a Schlein e a Giuseppe Conte affrontare di petto la questione. E l’ex premier, più spregiudicato e freddamente cinico rispetto alla segretaria dem, ha ben presente quanto possa pesare la coincidenza del voto regionale in Piemonte con quello europeo, dove i due partiti ormai a un’incollatura si giocheranno la leadership dell’opposizione in ambito nazionale. Converrà correre insieme per il Piemonte e l’un contro l’altro per l’Europa nella stessa campagna elettorale rivolgendosi alla stessa platea? E rispetto all’asse con la Sardegna non è che Giuseppi, fedele al motto “incasso subito e pago mai”, con un accordo in due tempi buggererà Elly?

Tra timide aperture e dure chiusure, Appendino è riuscita a tenere il pallino in mano, sfilandosi accortamente e lasciando i potenziali alleati al punto di partenza, ovvero a litigare tra di loro. Tant’è che proprio i due potenziali candidati, Gribaudo e Daniele Valle, s’apprestano a spostare i loro profili rispettivamente verso quei lidi interni a loro più lontani, fingendo di essere ciò che non sono. La parlamentare di Borgo San Dalmazzo ammiccando a quell’ala meno movimentista e più centrista del partito, il vicepresidente del Consiglio regionale, uomo del fronte bonacciniano ma dall’incerta postura riformista (basta leggere alcuni suoi post recenti, tipo quello in cui denuncia la privatizzazione della sanità, o la sua presenza a iniziative da “compagno”) non a caso sceglie per il suo prossimo appuntamento uno dei luoghi iconici della sinistra, Hiroshima Mon Amour. Giovani e coetanei, entrambi con più legislature alle spalle nelle rispettive assemblee, cercano nella candidatura alla presidenza della Regione un supplemento alla propria carriera politica. Riscuotendo scarso entusiasmo e non solo per l’esito di una competizione, sulla carta, già segnato. Senza padri né maestri si arrabattano come possono, confezionando un patchwork che non soddisfa alcuno. In fondo, il principale merito di Gribaudo è quello di aver riaperto nel Pd una partita che sembrava avviata verso una rassegnata sconfitta.

Sul fronte pentastellato, si attende l’evoluzione del quadro nazionale. E lo sguardo va inevitabilmente rivolto verso la manifestazione dell’11 novembre a Roma, promossa dalla segretaria dem. L’avvocato del popolo si farà vedere nell’omonima piazza, come pure avrebbe lasciato intendere? Una sua assenza difficilmente potrebbe non essere letta come un segnale di ulteriore distanza rispetto al Pd. Ma anche la stessa fisiognomica, i gesti ancora prima delle parole, dell’eventuale incontro diranno molto se non tutto anche per quel che riguarda il modo in cui presentarsi agli elettori del Piemonte. Ambienti romani non escludono che prima di quella data i due possano vedersi a quattr’occhi. Il Nazareno e Campo Marzio sono a un tiro di schioppo, non più di quel che serva per passeggiare col gelato in mano senza che si sciolga e, magari, per evitare che invece accada per l’evocata coalizione contro il centrodestra di Alberto Cirio.

Uno degli uomini più vicini alla Schlein, Marco Furfaro, avrebbe confidato a un collega parlamentare, casuale compagno di viaggio in treno, che il ragionamento prevalente al vertice nazionale del Pd sarebbe orientato su una candidatura di Gribaudo, con una postilla: la deputata cuneese non riceverà mai l’endorsement del Nazareno contro un avversario interno. Insomma, la soluzione dovrà essere la più indolore possibile e, sempre secondo quell’assunto, sembrano sparire dalla scena le primarie (“sarebbero una lacerante conta interna al gruppo dirigente”). Come si arriverà alla scelta è un mistero della fede (piddina), un enigma persino per chi ha visto le più arzigogolate formule politiciste italiane. Ormai, tutto lascia presumere che la decisione finale sarà in capo ai due leader nazionali. Ecco perché il destino del fronte giallorosso in Piemonte dipenderà, forse, anche solo da un abbraccio. O da un’ancor più eloquente assenza.

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