Non c'è più religione (a scuola). A Ivrea il primato di "renitenti"
Eusebio Episcopo 07:00 Domenica 14 Gennaio 2024Cresce il numero di studenti che rifiutano le lezioni. In Italia sono il 15,5%, oltre il 24% in Piemonte. Record di "non avvalentesi" all'istituto professionale canavesano Olivetti. Proseguono nella diocesi di Torino i piani per aggregare le parrocchie
Cresce (oltre 82 mila in più) il numero di studenti che dicono “no” all’insegnamento della religione cattolica (Irc): nell’anno scolastico 2022/23 sono infatti 1.096.846 mentre nel 2020/21 erano pari a 1.014.841, con un balzo in avanti di un punto e mezzo percentuale, dal 14,07% di due anni fa al 15,5% di oggi. A riferirlo è uno studio dell’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), che ha elaborato i dati ottenuti, a seguito di un accesso civico, dal Ministero dell’Istruzione.
In ben sei province è stata superata la soglia del 30% di “non avvalentesi”: Firenze (37,92%), Bologna (36,31%), Trieste (33,37%), Prato (33,19 %), Gorizia (32,51%) e Aosta (30,74%). Quest’ultima guida la classifica delle regioni seguita da Emilia-Romagna (27,48) e Toscana (27,12%), mentre notevole è ancora il divario con quelle del Sud, dove a non seguire le lezioni sono appena il 2,98% in Basilicata, il 3,11% in Campania, il 3,41% in Calabria, il 3,67% in Puglia, il 3,87% in Molise e il 4,57% in Sicilia. Tra le province piemontesi in testa è Biella (27.96%), seguita nell’ordine da Torino (27,03), Novara (25,54%), Vercelli (23,97%), Vco (22,85%), Alessandria (20,83%) e Cuneo (16.35%).
Sono gli istituti professionali a presentare il maggior numero di renitenti all’insegnamento della religione (25,52%), seguiti da quelli tecnici (23,87%) e dai licei (17,51%). Fra i primi è il Piemonte (che complessivamente registra il 24,13 di non avvalentesi) a essere in Italia campione di laicità con lo storico Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “Massimo Olivetti” di Ivrea che raggiunge il primato con 86 non avvalentesi su 95, totalizzando il 90, 53%. Nel Canavese di monsignor Luigi Bettazzi, di Adriana Zarri e di Enzo Bianchi si potrebbe dire, come fece Marx riferendosi alla rivoluzione «Ben scavato vecchia talpa…».
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Sabato 20 gennaio, al Santo Volto, si terrà una giornata di studio organizzata dal nuovo Istituto interdiocesano per la formazione di Torino, dove si discuterà del Centro Eucaristico che il gergo ecclesiale così definisce: «lo strutturarsi di una rete di comunità presiedute da un prete, possibilmente coadiuvato da altri preti e diaconi, intorno ad un luogo in cui le comunità convergono per la celebrazione domenicale». Siamo cioè ai primi tentativi che mirano – causa lo scarseggiare del clero – a unire più parrocchie in una, operazione che in provincia appare assai più difficile da attuarsi che in città. È molto probabile che uno schema di accorpamenti sia già nelle mente del cerchio magico ma per farlo trangugiare ai preti occorre ancora un certo lavoro. In questo caso, come avvenuto al sinodo, si parte dall’«ascolto», dalle «esperienze» e poi dal «lavoro in piccoli gruppi» evitando in tutti i modi un dibattito generale e aperto. Un po’ come avvenuto per i famosi germogli dei quali, raggiunto l’obiettivo, si sono perse definitivamente le tracce.
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In attesa che i livelli superiori si esprimano, il vulcanico don Carlo Pizzocaro, collaboratore di Silere non possum, ha scritto un saggio inalberando in capite il proprio stemma presbiterale con tanto di motto – Caro cardo salutis – che si può qualificare come una vera e propria lettera pastorale composta di 15 pagine. Si tratta invero di una riflessione su Fiducia Supplicans non priva di interesse. Con notevole impegno e con ricchezza di riferimenti scritturali e dottrinali, il parroco di Cumiana (in provincia di Torino) offre il suo punto di vista su di un tema – le benedizioni alle coppie gay – sul quale per adesso tutti tacciono, per imbarazzo o per convenienza, e solo per questo gliene va dato atto. Impossibile da sintetizzare, il testo, assai denso, si situa in un difficile equilibrio tra fedeltà alla dottrina tradizionale e progresso teologico affrontando il tema di petto perché «un passo pastorale senza le spalle coperte dottrinalmente è un inciampo», che è proprio l’operazione tentata con Fiducia Supplicans: «Bisogna allontanare definitivamente l’illusione di partire dalla pastorale: qui bisogna discutere coraggiosamente la dottrina, ritrovando sempre e di nuovo le ragioni di quanto si professa, anche riformulando i contenuti, nel rispettoso ascolto del sapere umano». Don Carlo pone quindi tutta una serie di domande «aperte» rivolte ai capisaldi dottrinali e alle condanne della Sacra Scrittura sui temi dibattuti per affrontare le quali egli ritiene necessario «un lavoro di esegesi, condiviso sia a livello ecumenico che interdisciplinare laico».
Con Fiducia Supplicans, siamo invece ancora alla distinzione, formulata all’apertura del Vaticano II da Giovanni XXIII con l’allocuzione Gaudet Mater Ecclesia, secondo cui altro è il deposito della fede e altro il modo di annunciare le verità che lo compongono e che può cambiare con un metodo pastorale adeguato a esprimere meglio l’indole del Magistero. Una distinzione non priva di insidie perché il metodo – oltre a diventare esso stesso dottrina – è andato ben oltre, suggerendo nuove dottrine. Forse, per percorrere la strada indicata da don Carlo, sarebbe necessario un altro papa, teologicamente strutturato, magari proveniente dalla Germania…
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Come Jorge Mario Bergoglio, anche il suo più stretto collaboratore in materia di fede e della sua salvaguardia, il cardinale Víctor Manuel Fernández detto El Tucho, non cessa mai di stupire. Sembra anzi, come notano sempre più frequentemente alcuni osservatori di cose vaticane, che la strategia dei vertici della Chiesa – e di qualche suo epigono nostrano – sia, non quella di annunciare il Vangelo, ma di spiazzare continuamente l’opinione pubblica per rimanere sempre, come un qualsiasi influencer, al centro dell’attenzione dei media. Così oggi il papa sarà di nuovo ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa, il quale non mancherà di esercitare l’arte della triplice genuflessione intervistatoria.
Nella bibliografia del prefetto Tucho è saltato furi un testo di 26 anni fa La Pasión Mística, espiritualidad y sensualidad in cui il futuro guardiano della fede discetta di orgasmo dilungandosi sulle tecniche erotiche e delle condizioni per cui «una donna ha bisogno di condizioni adeguate per essere eccitata necessitando di «sesso violento e immagini di orge», senza disdegnare la pornografia hardcore. Con tratto di esperto di orgasmologia, il teologo Tucho descrive poi la differenza tra orgasmo maschile e femminile: «l’uomo di solito emette grugniti aggressivi; lei, invece, fa balbettii o sospiri infantili», per concludere infine che «le donne hanno un ricco plesso venoso intorno alla vagina, che mantiene un buon flusso sanguigno dopo l’orgasmo. Ecco perché di solito è insaziabile. Ha bisogno di scaricare l’ingorgo pelvico e, finché questo non avviene, dopo l’orgasmo può desiderare di averne ancora». La conclusione è che: «Queste particolarità nell’orgasmo si verificano in qualche modo anche nel mistico rapporto con Dio che culmina in un “orgasmo planetario” poiché esso è anche un sublime atto di adorazione» dove il piacere è «qualcosa di religioso», «un’anticipazione del meraviglioso banchetto d’amore che è il cielo…». Al capitolo 9, colui che occupa oggi il posto che fu di Joseph Ratzinger, cita un teologo mussulmano del XV secolo il quale rende lode «ad Allah, che afferma peni duri e dritti come lance per fare la guerra nelle vagine».
Dalla lettura di questo testo si comprende meglio perché il Vaticano si oppose nel 2009 – contro il parere di Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires che la caldeggiava – alla nomina di Tucho a rettore della Pontificia Università dell’Argentina. Il cardinale Gerhard Müller ha poi confermato come sul “porno-teologo” argentino, già autore del famoso Sáname con tu boca. El arte de besar, esistessero vari dossier presso le congregazioni romane, messi però subito da parte dopo l’elezione di Francesco che, nel 2013, lo nominò vescovo e nel 2018 arcivescovo metropolita di La Plata. La reazione del porporato è stata a dir poco imbarazzata affermando che oggi – meno male – non scriverebbe più quel libro e che dopo la sua uscita non ha mai più permesso venisse ripubblicato. Da notare che esso non è stato incluso nel suo curriculum apparso sul sito ufficiale del Vaticano quando Tucho fu nominato prefetto del dicastero della dottrina della fede in sostituzione del cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer. Quest’ ultimo sembra sia stato apostrofato in pubblico dal cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, accusandolo di aver provocato con le sue dimissioni l’ascesa dell’argentino.
Il libro di Tucho, per chi volesse acquistarlo per leggerlo, non compare più fra le opere pubblicate dal cardinale e non c’è più traccia del titolo su Amazon, nei depositi di libri usati o, cosa assai strana, nel catalogo internazionale ISBN. Precauzione inutile perché alcuni vaticanisti ne hanno copia in Pdf. Un libro per pochi eletti… te quiero mucho si te quiero un Tucho?