Crisi che vengono da lontano

Le crisi delle aziende metropolitane hanno storie diverse, con denominatori comuni e questo va tenuto ben presente sennò corriamo il rischio di perdere lucidità e quindi di dare risposte inappropriate anziché guardare al futuro.

Un denominatore comune è sicuramente la Cina che ha deciso di rafforzare la produzione di auto nel proprio Paese, benché ampiamente positivo rispetto a Italia e Europa, il suo PIL rallenta. Il secondo denominatore comune è la Germania, la locomotiva tedesca è quasi ferma e sappiamo che il cuore metallurgico dell’Europa pulsa lì.

Ora, se sommiamo il fatto che nell’indotto automotive piemontese oltre il 75% ha relazioni di fornitura con Stellantis e Iveco e il fatturato medio generato da questo rapporto è ancora del 44% con il fatto che i principali partner commerciali nell’automotive sono Germania, Francia, Stati Uniti e Cina, abbiamo uno scenario che porta a una brusca frenata dell’economia dell’automotive.

Aggiungiamoci l’elevato costo del denaro, la pigrizia delle Pmi nel fare sistema, insieme a Stellantis che sta soffocando l’indotto chiedendo tagli ai costi di produzione e pagamenti sempre più dilazionati e avremo l’esempio lampante della crisi Delgrosso.

Crisi che è emblematica e che rischia di essere il primo vero segnale pericoloso del rapporto tra catena della fornitura e produttori finali compresi i componentisti stranieri. Oltre il 60% delle forniture che non vanno a Stellantis sono dirette verso la Germania.

Un paese che, finito il feeling con la Russia sulla fornitura di energia, vede aumentare i costi di produzione e, riducendosi la capacità penetrativa sul mercato auto cinese, scarica i maggiori costi sui fornitori che hanno difficoltà a farsi carico dei sempre maggiori investimenti a fronte anche di un’aumentata concorrenza come sempre accade in tempi di crisi. Non stanno bene nemmeno i nostri partner francesi, che nel 2023 hanno prodotto 695mila veicoli dei marchi Psa, meno  dell’Italia, e che con Renault e Toyota hanno raggiunto il milione e mezzo di veicoli.

I principali Paesi importatori di prodotti automotive italiani hanno le economie che rallentano e le previsioni per il 2024 non sono rosee. Occorre reagire prontamente uscendo dalla logica degli annunci quotidiani tipici del Ministro Urso. Siamo all’ennesimo interessamento, stavolta cinese, per una fabbrica di microchip in Piemonte, cinque aziende interessate all’Ilva, partner per Stellantis a Mirafiori. Per centrare gli obiettivi bisognerebbe lavorare in silenzio e annunciare il risultato una volta acquisito, perché a ogni annuncio fallito si crea una speranza che poi diventa disillusione e poi rabbia e disimpegno sociale e industriale.

Industria 4.0 ha funzionato, ora servirebbe uno strumento che aiuti le Pmi, che sono ancora il tessuto industriale dell’Italia, non ad accorparsi, ma a fare sinergia. Acquisto delle materie prime, investimento in innovazione fatto in partenership con più imprese di filiera di prodotto che presentano piani di investimenti comuni o gruppi di aziende che si uniscono per presentare piani di ammodernamento tecnologico comuni. Servirebbe da parte del Governo un piano oltre il 4.0 che sia stimolante nel favorire azioni comuni e coordinate delle imprese. Magari fatto senza troppi strombazzamenti che al primo intoppo naufragano nella propaganda.

Servirebbe che le banche abbassassero i costi dei prestiti alle imprese, che si concordino dazi più equi negli scambi tra Paesi, che il Governo spiegasse bene gli accordi internazionali tipo quello sul Mercosur perché molto condizionato dalle questioni relative alle politiche agricole e dal fastidio del centrodestra rispetto alle azioni dell’Europa. Mentre è sicuramente necessario cercare nuovi mercati, oltretutto nell’America del Sud Stellantis, con Fiat in primis e poi Psa, è ben radicata come produzione e vendita.

Siamo poi di fronte a un periodo industriale di grande incertezza con la verifica nel 2026 del Piano di transizione all’auto elettrica prevista per il 2035, insieme alle elezioni europee del prossimo giugno. Due scadenze importanti che verificheranno le tendenze di mercato e gli orientamenti politici della Commissione Europea e dello stesso Parlamento.

Il mercato del full electric non sfonda, anzi in Italia affonda, ma ormai le principali case automobilistiche europee stanno rallentando gli investimenti e la messa in produzione di nuovi modelli. Da Mercedes a Volkswagen, da Renault alla stessa Stellantis a Toyota c’è molta prudenza e stallo.

L’Europa politica ha imposto alle case costruttrici europee una forte accelerazione sul green elettrico, esiste anche un green endotermico, con forti investimenti e conseguente dissanguamento finanziario nonostante gli aiuti comunitari e nazionali ma il mercato non reagisce per contro la Cina si asserraglia nel suo fortino, immenso, e produce auto elettriche in tutti i segmenti a costi più competitivi e cerca sbocchi, anche per produrre, in Europa.

Insomma l’Europa definisce una strategia per l’industria automobilistica europea ma la realizzano i cinesi. La politica deve reagire e come prima cosa va raccolto l’invito a dilazionare la data del 2035, accompagnando le imprese e il mercato dove il full elettric sarà una componente sempre più ampia, ma non esclusiva, dove bisogna dargli il tempo di crearsi i suoi spazi senza traumi. Se l’economia deve crescere con l’elettrico il primo trauma da evitare è quello della perdita di posti di lavoro perché i cambiamenti devono portare lavoro e non disoccupazione.

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