SACRO & PROFANO

Brambilla prepara l'addio a Novara. Meloni ritrova le radici dell'Europa

Alla guida della diocesi di San Gaudenzio punta il "boariniano" Prastaro. L'attuale titolare raccoglie in due volumi le sue omelie. La premier ricorda la tradizione giudaico-cristiana, espulsa dai palazzi di Bruxelles. Le parole di Benedetto XVI

Alla Messa Crismale presieduta dal vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, affettuosamente ribattezzato per la sua stazza “Brambillone”, il clero diocesano riunito in cattedrale si è visto appioppare – come omaggio, presente di congedo e rimedio potente contro l’insonnia – la raccolta in due volumi di tutte le sue omelie. Perduta la partita su Torino (e con il rischio che arrivi a succedergli l’esemplar- tipo “boariniano” vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro), lo attende fra alcuni mesi il pensionamento nella sua amata Brianza. Così anche il vicario generale, lo storico progressista, don Fausto Cossalter, che tuttavia ama firmarsi – come durante munere gli spetta, con il titolo di monsignore e svolazzare con la fascia paonazza, sta trattando per farsi nominare parroco e mettersi al sicuro non avendo certezze sul futuro vescovo, se non quella che non sarà lui. Un po’ come fece a Torino l’indimenticato monsignor Valter Danna. Al suo posto sarà nominato l’attuale vicario per la pastorale diocesana novarese, don Brunello Floriani, salito all’onore delle cronache per aver definito un «gesto di imprudenza» la benedizione delle nozze civili del sindaco di Domodossola, ad opera del parroco don Vincenzo Barone. Se un atto nullo, un abuso liturgico e una profanazione, nonché uno scandalo al popolo sono solo un «gesto di imprudenza», si preparano tempi di allegria per la diocesi di San Gaudenzio.

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Pochi organi di informazione hanno dato notizia che l’ 8 marzo scorso il premier Giorgia Meloni, inviando  un messaggio di saluto agli organizzatori del convegno “Memoria e identità: Europa delle nazioni e patria europea”, svoltosi a Trieste e organizzato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dall’Osservatorio Osservatorio Internazionale Cardinale Văn Thuân, ha ripreso e rilanciato un tema completamente dimenticato dai vertici della Chiesa attuale e cioè quello delle radici cristiane dell’Europa: «Le patrie come entità nazionali sono in stretta relazione con le radici giudaico-cristiane dell’Europa, perché se la nazione esprime l’identità di un popolo, l’identità europea è stata formata, in gran parte, dalla spiritualità cristiana, connessa anche con quella del popolo che San Giovanni Paolo II ha definito “i nostri fratelli maggiori”. Il dibattito dei primi anni Duemila sulla menzione delle radici spirituali nel Trattato per la Costituzione europea si è concluso con la loro esclusione. Ma il senso e le ragioni di quella questione non si sono esauriti. Le pagine della storia si chiudono ma si possono anche riaprire, tanto più se riguardano temi assolutamente fondamentali per l’esistenza umana. E poiché la politica è l’arte non solo del possibile ma anche, nella mia accezione, nel rendere possibile, è da qui dall’italianissima Trieste, che voglio riaprire il dibattito sulla menzione delle radici ebraico-cristiane nei Trattati europei, e rilanciare – proprio nel nome di Giovanni Paolo II – la presenza vivente di queste radici nella vita politica e istituzionale dell’Unione Europea».

Come è noto, delle comuni radici giudaico-cristiane da inserire nel preambolo del testo della Costituzione europea se ne discusse, con poca convinzione e passione, per circa quattro anni dal 2003 al 2007. Ma mentre papa San Giovanni Paolo II fece una forte e adeguata battaglia, la Chiesa europea e quella italiana furono molto tiepide, per non dire contrarie. Una tiepidezza che trovò riscontro nelle parole del segretario generale del Comece, il cuneese monsignor Aldo Giordano (1954-2021): «Non è certo interesse delle Chiese ritrovarsi semplicemente nominate nella Convenzione europea». A battersi per l’inserimento furono, con vigore, Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio dell’Unione europea ma anche un laico di ferro come Giuliano Amato. Nulla poterono però contro la possente macchina da guerra massonica, capitanata dal Gran Maestro e presidente della Commissione per il Trattato, Valéry Giscard d’Estaing (che rifiutò una lettera di esortazione di papa Woityla) e dal presidente francese e fratello muratore Jacques Chirac. I due promossero fin da subito un’azione contraria la quale, considerata anche l’inconsistenza di chi avevano di fronte, vinse alla grande, subendo però poi lo smacco di vedere bocciata la proposta di costituzione europea dagli stessi francesi che, nel referendum del 2005, ne impedirono la ratifica congelandone così l’entrata in vigore. Il progetto approvato e non ratificato richiamava, tra i valori fondanti dell’identità europea, quelli della tradizione «umanista e illuminista» con la voluta esclusione della tradizione giudaico-cristiana. Non una amnesia ma un punto fondamentale. Le cattedrali e le sinagoghe che punteggiano il suolo europeo erano da considerarsi, per i parlamentari europei, un puro accidente della storia, una parentesi oscura durata poi solo due millenni.

Potrebbe sembrare, quello delle radici cristiane dell’Europa, un tema marginale ma secondo un recente rapporto curato per Democrazia Solidale (Demos), soggetto politico di sinistra, il 37 % per cento degli italiani rivorrebbe un partito cattolico moderato sul genere della Democrazia Cristiana, di questi ben il 60% attualmente vota per il centrodestra. Di tale sensibilità la Chiesa non sembra accorgersene né curarsene perché in Italia ci sono, come diciamo da tempo, due Chiese, quella degli apparati ecclesiali che stanno al potere nelle curie e nei consigli pastorali e quella del popolo e del senso comune che ancora frequenta le chiese. Un esempio? Alcuni giorni fa, il consiglio pastorale della diocesi di Milano che riunisce tutti i cattolici engagé ha votato un documento rivolto a tutte le parrocchie da titolo: “Un voto decisivo: chiamati a ridestare il sogno europeo”. I principi di fondo che dovrebbero spingere i cristiani al voto sarebbero «Pace, democrazia, libertà, sviluppo», principi nobilissimi e condivisibili da tutti. Peccato che siano stati completamente omessi quei valori derivanti dal diritto naturale che Benedetto XVI, in un discorso ai parlamentari del Partito popolare del 2006, indicava come compito prioritario ai politici cattolici: «Tutela della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale; riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia; tutela sociale dei minori, tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli». Evidentemente – magari solo strumentalmente – la Meloni non se ne è invece dimenticata e i risultati elettorali sembrano premiarla. Davanti a lei sembrano aprirsi praterie.

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