SANITÀ MALATA

Sanità, liste d'attesa "inaccettabili". Aumentano le rinunce alle cure

Nove italiani su dieci lamentano tempi troppo lunghi. Solo il 49% ha fiducia nel servizio sanitario nazionale. Il giudizio migliore per le strutture del Nord Est. Nel 2023 4,5 milioni di persone non si sono curate. Al Nord record negativo del Piemonte

Per nove italiani su dieci il problema più grave della sanità è quello dei tempi di attesa. Non che non fosse già evidente come in vetta alle patologie del sistema sanitario nazionale, declinato in quelli di ciascuna regione, ci siano le famigerate liste d’attesa, ma la recentissima analisi condotta in tutto il Paese dal campus di Cremona dell’Università Cattolica, fornisce dei dati se possibili ancora più negativi rispetto al quadro noto da tempo. 

Uno scenario che incrociato con quello raffigurato da un altro report, in questo caso il Rapporto Bes dell’Istat da cui emerge il forte incremento del numero di italiani che rinuncia alle cure per problemi economici e tempi di attesa, non può che far aumentare l’allarme su un fronte dove ancora troppo spesso i numeri delle Asl trasferiti alle Regioni confliggono con la situazione reale o, comunque, danno di questa una versione assai edulcorata e decisamente meno grave.

Basta tuttavia una telefonata al Cup per sprofondare nell’abisso dei tempi con cui si è costretti a fare i conti per ottenere una prestazione erogata dal servizio pubblico. In Piemonte, ripetendo la verifica empirica già effettuata un po’ di tempo fa, il vicepresidente del consiglio regionale ed esponente del Pd, Daniele Valle si è trovato di fronte a “quasi sempre alla risposta: non c’è posto”. Risposta peraltro al limite di quanto previsto dalla legge che vieta alle aziende sanitarie di chiudere le liste, imponendo di fatto di indicare una data anche se lontana nel tempo. “E quando si ha la fortuna di trovarlo – riferisce Valle – per lo più bisogna andare all’anno prossimo”. Per un’ecografia muscolotendinea il primo posto libero è al San Luigi di Orbassano il 25 agosto, ma del 2025. Sempre dell’anno venturo, il 15 aprile nello stesso ospedale per una gastroscopia. Una settimana prima per un ecodoppler al Mauriziano. Tutt’altra situazione se si mette mano al portafogli, spesso per avere la visita dallo stesso medico, ma in regima di intramoenia, ovvero in libera professione altrettanto spesso non tra le mura dell’ospedale di cui è dipendente, ma di studi privati. Una stortura del sistema che non riguarda, ovviamente, solo il Piemonte anche se qui la percentuale dei medici ospedalieri che esercitano anche in libera professione è in crescita maggiore rispetto a non poche altre parti del Paese.  

A questo proposito, pur con alcune differenze rispetto alla collocazione geografica, secondo la ricerca dell’Università Cattolica, l’88% dei pazienti lamenta tempi troppo lunghi per la prima visita specialistica, la percentuale scende all’85 se si tratta di esami di controllo e appena di un punto in meno nel caso di interventi chirurgici. Ma c’è anche la metà del campione interpellato che lamenta difficoltà nel trovare medici competenti. Allargando il campo a un giudizio complessivo sulla sanità, ancora una volta è il Nord Est a ricevere i maggiori apprezzamenti, seguito ma con oltre dieci punti di differenza, dal Nord Ovest il cui giudizio è sostanzialmente analogo a quello registrato per il Centro Italia, fanalino di coda come ampiamente previsto il Sud e le isole.

Un’immagine dell’Italia che, per molti aspetti, la si ritrova anche nel rapporto dell’Istat che prendendo in esame il 2019, il 2022 e il 2023 attesta come sia stata raggiunta la cifra di 4,5 milioni di italiani che hanno rinunciato alle cure per ragioni economiche e, strettamente legato, per il fenomeno delle liste d’attesa troppo lunghe, tali appunto da indurre a rivolgersi a prestazioni a pagamento. I dati dicono che si è passati dal 7% della popolazione del 2022 al 7,6% dell’anno successivo. La rinuncia è maggiore tra le donne (9,0%) rispetto agli uomini (6,2%), mentre a livello territoriale i picchi maggiori si registrano al Sud e in particolare in Calabria che ha tuttavia livelli inferiori a quelli della Sardegna. Nel Nord la percentuale più alta di rinuncia alle cure si registra in Piemonte con l’8,8%, seguito dalla Liguria con il 7,8. In entrambi i casi dal 2019 al 2023 è stato di tre punti l’aumento della percentuale di popolazione che ha rinunciato alle cure.

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