Troppa retorica sui clochard

Da sempre, soprattutto nei periodi più bui della storia, queste situazioni hanno popolato le nostre città. A Torino, ad esempio, penso a un Ottocento brulicante di poveri nei confronti dei quali nutrirono pena ma soprattutto sostanziale reattività e grande coraggio persone come Giulia di Barolo, Don Bosco, Giuseppe Cafasso, il Cottolengo, Francesco Faà di Bruno, Leonardo Murialdo, Giuseppe Marello, Giuseppe Allamano, Pier Giorgio Frassati (già a inizio '900) e precedentemente (a cavallo fra 1600 e 1700 ) Sebastiano Valfrè, senza dimenticare ovviamente Don Gnocchi. Bene, questa preziosissima eredità è stata raccolta da tante e tante associazioni pubbliche e private che animano Torino.

Il vero punto di svolta in questa situazione tanto triste sarebbe quello di spostare l’asse: da assistenza e conforto su strada a iniziative per togliere dignitosamente dalla strada così tanti sofferenti (questo è ciò che fecero tutti coloro che sopra ho citato!), perché altrimenti nulla sostanzialmente può cambiare se non sentirci collettivamente dei buoni samaritani che danno un pasto caldo e qualche coperta a chi è lì, sta lì e non si muove da lì (per scelta o costrizione). Questa problematica esiste a Torino (e temo in tutta Italia) da decenni e decenni, oggi resa ancora più crudele dal disastro Covid-19. La politica per decenni non ha mai fatto nulla di sostanziale, le persone che sopra ho citato e che storicamente hanno agito, avevano elaborato progetti concreti per recuperare alla dignità sociale e lavorativa centinaia di migliaia di persone. Erano guidati da ideali fortemente religiosi? E perché no? Erano guidati da ideali di equità e giustizia sociale? E perché no?

Se la pìetas non è accompagnata da robusti progetti sociali e da forte senso pratico e da investimenti potenti nel programmare un cambiamento radicale rispetto a queste realtà, resteremo ancorati a una pietà fine a sé stessa, improduttiva e sterile. Fra '800 e '900 brillarono persone straordinarie che investirono in vita, opere e denaro (tutti privati!), chi oggi a Torino (pubblico, privato, religioso) investe con lo stesso coraggio fattivo e costruttivo e non solo assistenziale? Su progetti ad ampio respiro, oltre l’assistenza pietosa che fa notizia e al conforto di effimera valenza rispetto al futuro di tanti sofferenti?

A Torino ci sono enormi potenzialità economiche (Fondazioni bancarie, potenti/potentati privati che vivono un understatement sabaudo di straordinaria entità e strabilianti comportamenti, enti e associazioni costosissime e inutili, creati ad hoc da amministrazioni pluridecennali per favorire amici degli amici, forse parenti e sodali di voto, buoni “clienti” per avere il potere? Forse). Se mai (a Torino e in Italia) si alzerà il velo sulle sciagurate voragini economico/finanziarie che hanno penalizzato fatalmente politiche sociali essenziali, bèh forse riusciremo anche vagamente a capire perché siamo a questo punto. Il problema non è dare una minestra calda e una coperta a chi sta in strada, il problema politico/sociale/privato è programmare e rendere concrete soluzioni assistenzial/educativo/lavorative/di reale crescita sociale che cambino radicalmente la composita struttura del diffuso disagio sociale che ormai popola le nostre città.

Del tutto poco interessante è la retorica che ammanta mediaticamente il tema, i media rischiano di fare una figura barbina ponendo l’accento sui “cattivi vigili” che scacciano i clochard senza evidenziare il vero tema: chi politicamente, privatamente, religiosamente investe con solidità, determinazione, impiego ampio di fondi per dare nuove opportunità a lunga scadenza ai disperati? Altrimenti un ricovero, una minestra calda e una coperta rimarranno le retoriche proposte da chi in fondo vorrà mantenere questa pletora di disperati nella loro condizione, assistere per mantenere nell’indigenza una pletora di disperati: l’esatto contrario dell’emancipazione sociale tanto affermata e realizzata dai grandissimi torinesi dell’’800 e del ’900!

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