Burzi e la giustizia non giusta

La vigilia di Natale Angelo Burzi ci ha lasciato per non aver sopportato il peso di una condanna che considerava iniqua. Il procuratore generale di Torino, dott. Francesco Saluzzo, ha inviato una nota per difendere l’operato del suo distretto giudiziario. Leggendola attentamente sorgono alcune considerazioni che voglio condividere. Il pg, facendo rifermento ad alcune affermazioni secondo cui l’ing. Burzi sarebbe stato vittima di accanimento giudiziario, osserva: «… l’affermazione, oltre che “destabilizzante” e irricevibile, è ampiamente contraddetta dal fatto che indagini e processi hanno riguardato, negli anni, esponenti politici di differenti versanti. Perché l’azione di questi Uffici è rigorosamente ancorata ai principi ed alle garanzie costituzionali, alla imparzialità ed alla assoluta indipendenza».

Non si può certo dubitare che gli “Uffici” della procura della Repubblica di Torino, parimenti a tutti gli altri nel Paese, sia rigorosamente ancorata ai principi ed alle garanzie costituzionali, alla imparzialità e alla assoluta indipendenza ma questa condizione, di per sé necessaria, non è sufficiente a garantire l’assoluta assenza di errori, a volte anche gravi. Per comprendere credo sia utile rifarsi al sillogismo di Aristotele: “Tutti gli uomini sono fallibili (prima proposizione, premessa maggiore), il Magistrato è un uomo (seconda proposizione, premessa minore), il Magistrato è fallibile (terza proposizione, conclusione)”. Il dott. Saluzzo, nello spiegare perché le contestazioni mosse contro i magistrati sono inaccettabili, eccepisce sul giudizio di imparzialità di trattamento, mossa da alcuni che hanno parlato di “processo politico”, e sostiene che: «I due Uffici requirenti (Procura della Repubblica di Torino e Procura Generale presso la Corte di Appello di Torino), che hanno agito in una solida e convinta condivisione della impostazione, hanno valutato episodio per episodio, spesa per spesa e tutte le volte nelle quali è stato individuato un legame con un’attività o una finalità politica, anche blanda, vi è stata richiesta di archiviazione o non si è proceduto alla contestazione».

Sotto il profilo organizzativo, è meritorio che gli uffici requirenti abbiano agito in modo così puntuale e coordinato, questa è pur sempre una condizione necessaria, ma non sufficiente a garantire l’assenza di errori. La conferma è data dal fatto che nel processo celebrato nel 2016, gli imputati siano stati assolti e poi, a seguito dell’appello presentato dalla procura contro il verdetto pronunciato dal giudice, gli stessi imputati, per gli stessi reati, siano stati condannati. Per lo stesso ing. Burzi fu emessa sentenza di assoluzione in primo grado con la formula “perché il fatto non sussiste” e per alcuni imputati furono annullate le prime condanne di appello dalla Cassazione.

L’art. 533 del c.p. recita: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma forse “al di là di ogni ragionevole dubbio” non vale per la sentenza di innocenza visto che un altro giudice ha poi potuto emettere sentenza di condanna! Non sarebbe più corretto che in caso di assoluzione la procura non abbia facoltà di fare appello? Questo onorerebbe il principio che, comunque, sia sempre meglio non condannare un colpevole che condannare un innocente.

Nella requisitoria del processo “Rimborsopoli bis”, del 30 novembre 2021, il Procuratore Generale dott. Giancarlo Avenati Bassi, sostenitore dell’accusa, afferma: «Non dobbiamo discutere della giustezza delle spese e nemmeno della consapevolezza interiore dei singoli soggetti coinvolti, e non dobbiamo neanche capire se quelle spese sono state fatte in malafede. Dobbiamo occuparci di altri aspetti, per esempio del concorso tra il gruppo consiliare e il suo presidente». Sarebbe utile capire a cosa si riferisce concretamente il “concorso tra gruppo consiliare e il suo presidente” e di per sé quali reati penali sottintende. Interessante sarebbe anche comprendere quale sia il lavoro degli inquirenti se non accertare la “giustezza” delle spese e se esse, qualora non siano “giuste”, siano state sostenute in “buonafede” (per errore) o in “malafede” (per dolo).

Sempre il procuratore dott. Avenati Bassi, in merito alle spese del gruppo Pdl, dice: «Abbiamo visto che quelli di Alleanza Nazionale volevano l’abbigliamento, forse avevano troppe camicie nere nell’armadio e dovevano prendere le bianche». La serietà che impone un momento così difficile per coloro che siedono sulla sedia degli imputati, e per rispetto nei confronti della Corte e quindi del popolo italiano per nome del quale agisce, non si presta a battute di questo tipo perché in un tribunale il Magistrato non solo deve essere imparziale ma deve anche apparirlo!

Il dott. Saluzzo, poi, deduce una impossibilità da parte dell’ing. Burzi di giustificare alcune spese sostenute, impossibilità che l’hanno portato a patteggiare, in passato, una pena di oltre un anno di reclusione. Il patteggiamento, però, non è un’ammissione di colpa ma, spesso, un modo per diminuire i costi di difesa ed accorciare il calvario che opprime un imputato durante tutto l’iter giudiziario che in Italia è incontrovertibilmente troppo lungo. Il Procuratore Generale di Torino, dott. Saluzzo, afferma altresì: «Il criterio utilizzato, frutto di una scelta attenta, di garanzia e aderente alla lettera della legge penale è stato unico per tutti e per tutte le operazioni che sono state analizzate. Per nessuno è stato utilizzato un parametro differente. Poi, certo, deve anche essere accettata la voce e la mano pesante della legge (di quelle leggi scritte dalle stesse persone che oggi additano “lo scandalo”) quando le regole vengono violate. Sicché userei maggiore prudenza nel fare e veicolare affermazioni che gettano discredito e potrebbero costituire anche vilipendio dell'ordine giudiziario».

Relativamente al termine “vilipendio” il dizionario Treccani recita: “disprezzo, disistima espressi con parole, scritti o atti gravemente offensivi. In diritto penale: reato di vilipendio: figura di reato prevista dal codice penale, consistente nell’offendere con parole, scritti o atti di grave e offensivo disprezzo valori ritenuti particolarmente degni di rispetto (nazione, bandiera nazionale, Repubblica, istituzioni, religione) o di cadavere e di sepolture”. Inoltre: “Nel 2006, con la riforma dei reati di opinione, le sanzioni detentive già applicate per i delitti di vilipendio sono state sostituite da pene pecuniarie. Previsti già dal codice Zanardelli, i reati di vilipendio furono inseriti anche nel codice Rocco (periodo fascista) come delitti contro la personalità dello Stato. Con l’entrata in vigore della Carta costituzionale tali fattispecie apparvero come reati di mera opinione, contrari dunque al principio di libertà di manifestazione del pensiero. Tuttavia, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’interesse al prestigio delle istituzioni avesse rilievo costituzionale, dando così piena legittimità ai reati in questione anche all’interno del nuovo regime democratico”

 La situazione in Italia è critica: il Parlamento legifera in modo disordinato e non organico creando le condizioni di un’eccessiva, se pur necessaria, interpretazione delle leggi, basti pensare che in 157 anni dall’unificazione, le norme prodotte superano quelle abrogate. Tutto ciò crea matasse di complicazioni, di lungaggini e di “ingiustizie” di cui anche l’ing. Angelo Burzi è rimasto vittima.

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