No tax area meglio della flat

La delega fiscale approvata dal Consiglio dei ministri, che vuole riformare il sistema tributario italiano varato negli anni 70, diventa legge (legge delega). Il Mef (Ministero economia e finanza) scrive che “le nuove regole, operative entro 24 mesi dall'entrata in vigore della legge delega, vanno nella direzione di semplificare e ridurre la pressione fiscale, favorire investimenti e assunzioni e instaurare un rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria nella logica di un dialogo tra le parti secondo le esigenze di cittadini e imprese”.

Da un’analisi dell’ufficio studi Cgia su dati Istat e del Ministero delle Finanze pubblicato nel novembre 2022, risulta che l’Italia è al quinto posto tra i paesi Ue più tassati (43,4%), preceduto da Danimarca (49%), Francia (47%), Belgio (45,4%) e Austria (43,6), ma in quelle nazioni lo Stato ha servizi pubblici, in termini di assistenza e servizi, senza dubbio più avanzati del nostro. Inoltre, risulta anche che servizi e welfare di alto livello si trovano in paesi dove le tasse sono inferiori alle nostre come Svezia (43,3%), Finlandia (42,9%), Germania (42,3%) e Paesi Bassi (39,7).

Gli obiettivi della riforma, quindi, devono essere due: da una parte abbassare le tasse, ed in particolare quelle che riguardano i redditi da lavoro, e dall’altra impegnare bene, da parte dello Stato, il danaro recuperato con le tasse esponendo con più trasparenza i conti pubblici. Solo coinvolgendo i cittadini si riesce a condividerne la sorte. Una delle finalità della riforma è garantire l’equità orizzontale, cioè la tassazione uguale per i soggetti che hanno la stessa capacità contributiva a prescindere che siano dipendenti, pensionati o partite iva.

Altri due punti fondamentali per l’abbassamento delle tasse sono l’introduzione di una “no tax area”, entro i cui limiti i contribuenti non sono tenuti al pagamento dell’imposta, e l’applicazione della Flat tax (letteralmente “tassa piatta”) cioè una tipologia di imposta fiscale (tributo che prevede il prelevamento costrittivo di denaro per il finanziamento della spesa pubblica) che applica un’unica aliquota (percentuale) per tutti i livelli di reddito in sostituzione dell’Irpef.

La materia è complessa e delicata e, soprattutto quest’ultimo punto, fa discutere politici ed economisti sull’incostituzionalità, la disuguaglianza sociale e i timori sul debito pubblico. I detrattori, infatti considerano che la flat tax sia in contrasto sia con l’art. 3 sia con l’art 53 della Costituzione. L’art 3 recita. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Per i detrattori la rimozione degli ostacoli, da parte della Repubblica, è vista come il tendere ad una uguaglianza socio-economica dei cittadini mentre per i fautori è il prevedere correttivi che permettano di non creare discriminazioni nei diritti di ogni cittadino nella sua vita sociale. L’art 53 recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. I detrattori intendono la progressività della tassa come percentuale crescente da applicare in funzione della fascia di reddito, i fautori considerano l’imposta crescente in valore assoluto al crescere del reddito. I detrattori, inoltre, puntano il dito sugli agiati come maggiori beneficiari e quindi denunciano un aumento di disuguaglianza sociale. I fautori, invece, considerano che le tasse applicate attualmente sui redditi da lavoro siano eccessive, soprattutto se si pensa che su altre tipologie di reddito, più riconducibili al patrimonio, come quella applicata sugli affitti percepiti o sugli investimenti, la flat tax già esiste ed inoltre la no tax area per le fasce più deboli risponde alle esigenze di solidarietà ed equità. Poiché le tasse devono essere compatibili con il bilancio dello Stato, un minor gettito nelle sue casse genererebbe un maggior taglio dei servizi pubblici, per mancanza di risorse, e ciò crea nei detrattori una forte preoccupazione e timore dell’aumento del debito pubblico. Al contrario i fautori sono convinti che un abbassamento delle tasse inneschino un circolo virtuoso di crescita dei consumi e degli investimenti, generando maggiore occupazione. Bisogna altresì considerare che la flat tax, già introdotta in altri paesi europei, non ha mai avuto successo e gli unici paesi che oggi la praticano ancora sono: Russia, Estonia, Lituania, Romania, Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Bielorussia, Bulgaria, Georgia, Ucraina e Ungheria. Tutti gli altri stati hanno delle aliquote che comunque determinano una tassazione inferiore alla nostra.

Penso che sia utile proporre un esempio: Supponiamo i seguenti redditi da lavoro: Aldo 14mila euro, Bruno 24mila euro, Claudio 40mila euro, Dario 80mila euro, Enrico 150mila euro, Franco 500mila euro, Giorgio 1milione di euro e Luigi 5milioni di euro. Ecco quali tasse su di esse vengono applicate in Italia (I), Francia (F), Germania (D) e Inghilterra (GB): Aldo: I=3.220, F=565, D=511, GB=300; Bruno: I=5.700, F=1.965, D= 2.836, GB=2.300; Claudio: I=10.900, F=5.497, D=6.676, GB=5.500; Dario: I=27.300, F=18.886, D=20.251, GB=19.500; Enrico: I=47.400, F=47.586, D=49.651, GB=47500; Franco: I=207.900, F=204.837, D=203.412, GB=205.000; Giorgio: I=422.900, F=429.837, D=428.412, GB=430.000; Luigi: I=2.142.900, F=2.229.837, D=2.228.412, GB=2.230.000.

Credo quindi che non sia la flat tax il tema principale sul quale tenere accesi i dibattiti, ma soprattutto l’istituzione della “no tax area” e la revisione delle percentuali per le fasce a più basso reddito.

Altro argomento particolarmente critico è quello riguardante l’alto livello di tassazione a cui sono soggette le imprese, piccole o grandi che siano, perché, se si vuole lavorare, le aziende devono esistere. L’alto livello di disoccupazione dell’Italia lo si combatte solo attraverso imprese che, oltre ad essere ben gestite, non siano soffocate da un fisco predatore. Se un’azienda è in difficoltà, lo Stato se ne accorge sia dalla presentazione del bilancio sia dai ritardi nei pagamenti delle tasse e quindi, prima di addire a vie sanzionatorie, legali e coercitive, non sarebbe più opportuno che, con l’aiuto di esperti in gestione aziendale, la pubblica amministrazione chiamasse l’imprenditore e lo aiutasse a superare le difficoltà, con dei piani di ripresa o di chiusura attività, in modo da dimostrare che “lo Stato siamo noi” e che ci teniamo a essere coesi verso un cammino di crescita? Così si eviterebbe il ricorso troppo frequente al tribunale fallimentare che crea conseguenze drammatiche per gli imprenditori, i loro famigliari, i lavoratori, i creditori oltre che a distruggere le imprese stesse buttando via il bambino insieme all’acqua sporca.

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