Privatizzazioni caserecce
Carlo Manacorda, economista 10:24 Domenica 08 Dicembre 2013 2
Il Comune di Torino vende alla Cassa depositi e prestiti un basso fabbricato in Via Riberi 6 (angolo Via Gaudenzio Ferrari), adiacente alla Mole Antonelliana. Fa, cioè, una privatizzazione casereccia. Tutta l’operazione si sviluppa in casa pubblica. Un soggetto pubblico (il Comune) cede ad un altro soggetto pubblico (la Cassa depositi e prestiti) un bene pubblico. L’acquirente (la Cassa depositi e prestiti) paga l’acquisto con denaro pubblico. Eppure, non solo linguisticamente ma anche commercialmente, per privatizzazione s’intende un’operazione che trasferisce la proprietà di un bene o di un’azienda appartenenti ad un soggetto pubblico ad un soggetto privato. L’opposto è dato dalle nazionalizzazioni o dalle municipalizzazioni. Ma tant’è. L’economia pubblica nostrana viaggia ormai secondo regole esclusivamente italiche. Le tanto conclamate privatizzazioni sono avvenute finora e avverranno seguendo, per lo più, la comoda strada imboccata dal Comune di Torino. Però il caso è intrigante. Merita dunque qualche approfondimento.
L’immobile ceduto. Non è nuovo alle cronache. Circa due anni fa (luglio 2011), alcuni costruttori privati – che nel 2008 l’avevano comperato dal Comune in un’asta pubblica – stavano per trasformarlo in un immobile/mostro di sette piani. Il Comune aveva benedetto il progetto, approvando addirittura una variante urbanistica ad hoc. La protesta dei cittadini attraverso il “Comitato Salva Mole”, i pareri contrari della Soprintendenza ai beni architettonici e, addirittura, i suggerimenti di due suoi predecessori: Novelli e Castellani, costrinsero Piero Fassino – frattanto diventato sindaco di Torino dopo Sergio Chiamparino – a bloccare il progetto. La sua realizzazione avrebbe deturpato, per sempre, l’immagine del simbolo di Torino. La querelle edilizia fu, dunque, superata, e dell’immobile di Via Riberi non si sentì più parlare. Ora ricompare nel supermercato delle vendite comunali torinesi.
L’acquirente. La Cassa depositi e prestiti (Cdp) è una società per azioni il cui capitale è posseduto per l’80,1% dallo Stato – Ministero dell’Economia e delle Finanze, e per il 18,4% da un nutrito gruppo di Fondazioni bancarie; la restante quota dell’1,5% è investito in azioni proprie. Riceve un fiume ininterrotto e gigantesco di denaro che proviene dal risparmio postale. Ha come missione istituzionale di essere di sostegno alla crescita del Paese mediante: finanziamenti degli investimenti della pubblica amministrazione (ad esempio i mutui che gli enti locali, fino a qualche anno fa, potevano accendere soltanto con la Cdp), e interventi a favore del sistema imprenditoriale nazionale.
La procedura di vendita. In base alle norme vigenti in materia di contratti delle amministrazioni pubbliche, per la vendita di un bene pubblico si procede attraverso una gara pubblica per raccogliere l’offerta economicamente più conveniente. L’offerta proviene da operatori del mercato, che agiscono in maniera competitiva. La vendita del Comune di Torino è fatta direttamente ad un soggetto già individuato. Qualcuno (non si sa chi) ha stabilito un prezzo. Quello è, indipendentemente dal fatto che sia o non sia il più conveniente. D’altro canto, il Comune di Torino non fa che allinearsi alle procedure di vendita dei beni pubblici seguite prima dal Governo di Mario Monti e che ora saranno praticate dal Governo di Enrico Letta. Urge attuare il grande piano di privatizzazioni da 12 miliardi, annunciato sotto l’incalzare delle critiche di Bruxelles alla Legge di stabilità 2014. Verosimilmente lo Stato (con i conti in profondo rosso) venderà a se stesso, cioè alla Cassa depositi e prestiti (che però ha i forzieri pieni e molti euro a pronta consegna). Il “The Privatization Barometer Report 2012” – corposa ricerca periodica curata dalla Fondazione Eni-Enrico Mattei e dalla società KPMG italiana (affiliata alla rete internazionale KPGM di diritto svizzero) – annota (pag. 28) che le poche privatizzazioni fatte in Italia dal Governo “non possono essere considerate privatizzazioni reali poiché i beni sono stati trasferiti da un soggetto pubblico ad un altro soggetto pubblico piuttosto che a investitori privati (Cassa depositi e prestiti è una società per azioni sotto il controllo pubblico)”. E ricorda come le ultime privatizzazioni messe in atto dal Governo: Sace (agenzia italiana per il credito alle esportazioni), Fintecna (ndr la società che raccolse, nel 1993, tutti i patrimoni residui del Gruppo IRI proprio per privatizzarli) e Simest (la società che dovrebbe promuovere gli investimenti stranieri in Italia) altro non sono state che un acquisto delle azioni di queste società da parte della Cassa depositi e prestiti. Cosicché oggi Cdp possiede il 25,76% di Eni (ha comperato per 2 miliardi i due pacchetti messi in vendita da Monti), il 29,85% di Terna (il 5% comperato sempre dalle privatizzazioni di Monti), il 100% di Sace, il 76% di Simest, il 100% di Fintecna e via discorrendo. Per concludere, le privatizzazioni all’italiana sono caserecce, partite di giro tra soggetti pubblici (qualcuno le ha definite “privatizzazioni farsa”).
Il contesto del caso torinese. In data 25 novembre, la Cassa depositi e prestiti comunica che Piero Fassino, sindaco di Torino ma quale presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani – Anci, Massimo Garavaglia, senatore della Lega-Nord, e Antonio Saitta, quale presidente dell’Unione province italiane – Upi sono stati nominati, dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, quali componenti che integrano il Consiglio di Amministrazione della stessa Cdp per le decisioni riguardanti Comuni, Regioni e Province. Forse entrare nella stanza dei bottoni può tornare utile, anche subito. E così la Cdp, che sarà impegnata nei massicci acquisti di importanti società che dovrà fare affinché il piano miliardario delle privatizzazioni di Letta possa andare avanti, possiederà anche un piccolo edificio ai piedi della Mole, già appartenente al Comune di Torino, e del quale si era persa la memoria. La dimensione del patrimonio immobiliare di Cdp crescerà vistosamente! Però intanto il Comune di Torino (conflitto di interessi? Boh!), senza indugiare in gare pubbliche dai molto incerti successi, incasserà subito qualche euretto in più, pagato dai risparmiatori che si affidano alla società Poste italiane. Coi tempi che corrono, sono entrate ultra-benvenute.
A conti fatti se, nonostante i sorrisi (talora) e i musi duri (talaltra) dei governanti nostrani, l’Europa continua a guardarci di storto e a chiederci conti pubblici più veritieri (magari un po’ più di serietà anche nelle privatizzazioni), forse qualche ragione ce l’ha anche.