INTERVISTA

Pulsioni autoritarie e paura del futuro: come il virus ha infettato la società

La pandemia da Covid-19 allunga i suoi effetti ben oltre il perimetro sanitario. Malattia e difficoltà per le ricadute economiche spingono a desiderare un governo forte, anche antidemocratico. Lo studio condotto dal professor Roccato dell'Università di Torino

Un evento epocale che segnerà a lungo e in profondità le nostre vite. La pandemia da Covid-19 allunga i suoi effetti ben oltre il perimetro sanitario, mettendo a repentaglio la salute della nostra società e le rappresentanze istituzionali e politiche. Il prolungato lockdown ha compresso e limitato diritti, primo tra tutti quello della libertà di movimento, fino a ieri scontati, ha stravolto paradigmi di partecipazione, arrivando a delineare forme antipopperiane di “Società chiuse”, pensando di affidare i propri destini a governi autoritari, magari guidati dal classico “uomo forte”. E così il virus ha infettato la società e la politica, la stessa “democrazia” subisce torsioni. Paure e angosce, amplificate da un senso sempre più diffuso di precarietà e instabilità economica, preparano un terreno fertile alle strette antidemocratiche. La pandemia produce anche instabilità elettorale. L’ansia induce a cambiare comportamenti di voto, soprattutto spingendo chi ha espresso in passato un voto populista ad allontanarsi da quei lidi scegliendo un partito mainstream.

Qual è la reazione dei cittadini di fronte alla pandemia? Come si rapportano con le istituzioni e i partiti politici? Come potrebbero orientare il proprio voto dopo l’incubo Coronavirus? Domande che si è posto il professor Michele Roccato, docente ordinario di Psicologia sociale all’Università di Torino e che ha rivolto con il suo gruppo di lavoro a un campione di 1.073 persone. I risultati saranno illustrati giovedì 11 marzo in un incontro online alla Fondazione Amendola.

Professor Roccato, cosa è emerso dal suo studio?
“Abbiamo verificato come le minacce esistenziali legate alla pandemia hanno conseguenze politiche durature, minando alle fondamenta la fiducia nei confronti delle nostre istituzioni democratiche anche a distanza di tempo”.

Dunque il Covid mette a rischio la nostra democrazia?
“Le persone che si sono ammalate o che si trovano in difficoltà economiche per le ricadute dell’epidemia sono quelle più spinte a desiderare un governo forte, anche antidemocratico. Lo studio è stato compiuto intervistando lo stesso campione ad aprile dell’anno scorso e poi a ottobre e abbiamo riscontrato come quest’orientamento abbia resistito anche dopo sei mesi”.

Come si spiega questa reazione da un punto di vista psicologico?
“Sempre più persone si sentono minacciate: dal virus, dalla crisi economica, da una generale situazione di disagio. E di fronte alla minaccia cerchiamo forme di controllo compensatorio”.

Di qui la ricerca di un Governo forte, autoritario?
“Certo. È la ricerca, al di fuori di noi stessi, di un’entità in grado di controllare ciò che noi non riusciamo a controllare. Di regolare ciò che non comprendiamo a pieno”.

C’è una componente alta di irrazionalità in tutto questo?
“Tutte le nostre scelte razionali si basano innanzitutto sulle emozioni. Non esiste una separazione tra emozione e ragione. Se ci sentiamo minacciati dalla realtà è perfettamente razionale sviluppare forme di ansia che regolano le nostre scelte”.

Eppure all’inizio della prima ondata sembrava che tutta l’Italia si fosse stretta attorno alle proprie istituzioni al punto che il premier Giuseppe Conte aveva incrementato il proprio livello di consenso.
“Anche questo è perfettamente coerente. Dopo l’11 settembre 2001 gli Stati Uniti si scoprirono sotto minaccia e si strinsero attorno a George W. Bush. Il giorno prima era uno dei presidenti meno apprezzati dalla popolazione, il giorno dopo gli americani erano con lui”.

Dunque?
“Questa è la prima reazione. Poi, con il passare del tempo i cittadini misurano i provvedimenti presi e ne verificano l’efficacia sulla propria pelle. Tornando alla pandemia, oggi abbiamo un numero crescente di persone che stanno pagando un tributo carissimo al virus, questo accresce la loro ansia per il futuro e quindi la voglia di affidarsi a un ente esterno più forte in grado di prendere in mano la situazione con risolutezza”.   

Anche noi italiani un anno fa eravamo sui balconi a cantare l’inno nazionale, ora il clima è cambiato. Perché?
“Allora ci sentivamo uniti in un unico destino. Tutti uguali, ne usciremo insieme. Poi con il passare dei giorni c’era chi si ammalava e chi no, chi era tutelato sul posto di lavoro e chi rischiava di rimanere senza uno stipendio. Garantiti versus non garantiti. E con l’aumentare delle differenze aumentavano le divisioni”.

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