POLVERE DI (5) STELLE

Il Piemonte grillino è con Conte, Cinque Stelle ridotti al lumicino

La secessione dimaiana non fa altri proseliti. Forse l'unico che potrebbe seguire la Castelli è il capogruppo alla Camera, il novarese Crippa. Il precedente della scissione "a sinistra" di Frediani e Bertola. Appendino acquattata e amministratori locali disorientati

Quando, a sera dell’antivigilia del D-day, Giuseppe Conte avverte che “la situazione è drammatica” l’avvocato del popolo artefice della crisi più stramba nella storia della Repubblica evoca inevitabilmente Ennio Flaiano: “La situazione politica in Italia è grave, ma non seria”. Alla ripresa dell’interminabile assemblea degli eletti dei Cinquestelle, o come ormai lo chiamano sempre più in molti il partito di Conte, quel che resta dell’antico apriscatole è un grande rebus. Dopo tre lunghissimi giorni di assemblea permanente dei parlamentari, tra sospensioni, rinvii e annullamenti, la linea dell’ex premier con la pochette è un rimpallo: è Mario Draghi a dover decidere se il governo cade o resta in piedi, è sua la responsabilità di staccare la spina. Il fu avvocato del popolo lo ribadisce al termine dell’ennesima riunione fiume durata quasi sei ore: “Adesso la decisione non spetta a noi ma spetta al premier Draghi". Tradotto: non vogliamo il voto anticipato, il presidente del Consiglio può andare avanti con o senza Cinquestelle, accogliendo i famosi nove punti o accettando una sorta di appoggio esterno.

Il timore, sempre più concreto di rimanere con un pugno o poco più di fedelissimi, muove il leguleio appulo che ha già dovuto incassare la pesante transumanza verso i lidi dimaiani a mosse sempre più indecifrabili e almeno all’apparenza contraddittorie. Il fronte dei contiani è sempre meno solido, anche se non si sa per quali ragioni proprio in Piemonte pare avere una delle sue roccaforti.

Nello psicodramma dell’appena citata interminabile assemblea, la professione di fedeltà al capo (politico) arriva dalla ministra Fabiana Dadone, con Giuseppi fino alla morte, ma intanto lei la cuneese piedi-sulla-scrivania, come gli altri ministri, a dimettersi manco ci pensa. Adda passà a nuttata. Altra pasionaria del fazzoletto da taschino eletta in Piemonte è Mariassunta Matrisciano, detta Susy come quella del quesito della Settimana Enigmistica, a proposito di rebus. Marchesa del Grillo – io so’ io e voi… – la cerchi e butta giù il telefono, ai messaggi che chiede poi neppure risponde, ma a Conte pure lei è pronta a rispondere: obbedisco. 

Degli otto deputati e cinque senatori approdati in Parlamento nelle file grilline nel 2018, oggi il solo che pare meno solido sulle posizioni del capo politico è proprio colui che guida il gruppo alla Camera. Il novarese Davide Crippa è finito nel mirino per un uno-due tanto inatteso quanto pesante da digerire per Conte e i suoi fedelissimi. Prima si oppone al rinnovo del contratto di collaborazione con il gruppo di Montecitorio a Rocco Casalino, poi dà il via libera a che Draghi parli, domani, prima alla Camera e solo dopo a Palazzo Madama dove la crisi si è aperta, appoggiando la richiesta di Pd Italia Viva. Il blitz non andrà in porto, ma tanto basta a Conte per inalberarsi e capire che forse il vertice del gruppo non è proprio dalla sua e, forse, potrebbe già lavorare per passare con Luigi Di Maio. Passo che aveva fatto, da subito, l’altra piemontese al Governo, la viceministra al Mef Laura Castelli, tra i primissimi parlamentari a seguire il titolare della Farnesina e segnare una profonda cesura tra l’ala governativa-draghiana e quella pseudomovimentista dell’ex premier.

Scissione ben diversa da quella antesignana che si consumò proprio in terra allobroga dando vita al Movimento 4 Ottobre, con i consiglieri regionali Francesca Frediani e Giorgio Bertola a incarnare, loro sì, il movimentismo delle origini e il collocamento sul versante sinistro, roba decisamente differente da quel che avrebbe fatto molto tempo dopo Di Maio. E Chiara Appendino? L’ex sindaca dopo aver provato l’arte non improvvisabile del pontiere cercando di evitare lo strappo, o comunque di non allargarlo tra Conte e di Maio, ha ripiegato nella consumata pratica dell’inabissamento sotto quota periscopica in attesa degli eventi. Con Conte, ma senza esporsi troppo, anzi per nulla. Dorotei un tempo si nasceva, oggi si può sempre imparare a diventarlo.

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