GIALLOROSSI

Pd, per l'alleanza vedrà le (5) stelle

I dem piemontesi osservano con attenzione e preoccupazione quanto sta accadendo in Lombardia e Lazio. La spregiudicatezza di Conte e i mutati rapporti di forza potrebbero persino costringerli a cedere sul nome dello sfidante di Cirio. La nemesi di Appendino

Fare i conti con Conte. È quel che, piaccia o no, toccherà al Pd in Piemonte da qui al 2024, man mano che le elezioni regionali si profilano all’orizzonte e la questione non è (solo) quella dell’accordo con il partito dell’ex premier pentastellato, ma le possibili richieste che da quel fronte proverranno. Detta più brutalmente: chi oggi nel partito che s’appresta ad attraversare il deserto senza ancora vedere l’oasi del congresso e da lì uscire con il successore di Enrico Letta, è pronto a escludere che, sondaggi alla mano, l’avvocato del popolo accetti che il suo movimento faccia il semplice comprimario senza rivendicare la piena condivisione della scelta del candidato alla presidenza della Regione o, addirittura, di esprimerlo? 

Certo, l’aver davanti le regionali in Lazio e in Lombardia, per non dire le assise congressuali con i conseguenti rinnovi degli organismi direttivi territoriali, è un vantaggio per i dem sognanti un ritorno alla guida del Piemonte. Passaggi importanti e snodi cruciali, ma anche per questo utili a calibrare mosse e strategie con quell’anno in più di margine di cui possono godere i piddini piemontesi, senza tuttavia ad oggi aver modo di superare quello che potrebbe essere il nodo (gordiano) dei Cinquestelle.

Paradossalmente le regionali potrebbero rappresentare una nemesi di quanto accadde per il Comune di Torino: se allora, un anno fa, la sindaca oggi deputata Chiara Appendino lavorò per un fronte con i dem guardando a una candidatura civica per la sua successione (in cima c’era il rettore del Politecnico Guido Saracco) ricevendo picche dal Pd subalpino, in primis dal suo futuro erede a Palazzo di Città Stefano Lo Russo, per provare a riconquistare la Regione saranno i dem a dover chiedere l’aiuto grillino. Ma a che prezzo? Quello che stabilirà Giuseppe Conte, il quale non ha avuto difficoltà in questi mesi a mostrare tutta la sua spregiudicatezza politica, a partire dalla giravolta in Sicilia per poi proseguire su uno schema assai preoccupante per il Nazareno e le sue dependance locali.

L’entente più che cordiale che segna i rapporti tra i gruppi consiliari di Pd e M5s a Palazzo Lascaris è un potenziale atout, ma non deve indurre a immaginare il partito di Conte pronto ad accettare ogni decisione che arrivi dai compagni di opposizione ad Alberto Cirio al momento della scelta dell’aspirante governatore. La tattica dell’avvocato di Volturara Appula, se non muterà, è chiara, il disegno di un’opa ostile sull’ex alleato nel suo secondo mandato a Palazzo Chigi altrettanto. 

Come si diceva, non poco peseranno le precedenti tornate elettorali in Lazio e Lombardia, così come quel congresso del Pd che ancora ieri uno degli aspiranti inquilini di piazza Castello come Daniele Valle reclamava “il prima possibile per avere una linea politica chiara e una guida legittimata”. Anche questo un segnale dell’aria che tira tra i dem subalpini con un occhio al Pirellone e l’altro al Nazareno. Perché se poi alzano lo sguardo al cielo a veder le stelle rischiano di fare un salto avanti nel tempo, a quei mesi che precederanno il voto del 2024 in cui, se le cose non cambieranno, dovranno fare i conti con Conte. E il risultato potrebbe essere più pesante dell’immaginabile.

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