SACRO & PROFANO

Repole inaugura la scuola di politica, madrina la catto-dem Rosy Bindi

Mentre l'esponente del Pd apre i corsi a Torino, a Roma dal palco della Cgil don Ciotti fa il suo comizio. Ma cosa capiterebbe se un altro prete diocesano prendesse la parola a una manifestazione politica? Magari con la Meloni? Notizie dalla "città proibita"

Alcuni lettori ci hanno chiesto di tradurre dall’ecclesialese il discorso che l’arcivescovo Roberto Repole ha pronunciato all’assemblea del clero di Torino e di Susa – svoltasi lo scorso 30 settembre al Santo Volto – in prosecuzione della riflessione contenuta nella lettera pastorale e nei precedenti interventi incentrati sul nuovo modo di ridisegnare la presenza della Chiesa nel tempo presente.

L’intervento si suddivide in tre punti, riguardanti rispettivamente il ministero del presbitero, quello del diacono e i ministeri battesimali. L’idea di fondo si potrebbe sintetizzare così: il ministero ordinato non esaurisce la ministerialità della Chiesa; il ministero presbiterale non esaurisce la ministerialità propria del Sacramento dell’Ordine; il presbitero, investito del triplice compito di annuncio del Vangelo, presidenza dell’Eucarestia e presidenza della comunità – una nuova declinazione dei Tria munera sacerdotalia – deve esercitare il proprio ministero imparando a delegare ciò che non gli compete specificamente, a coordinare i ministeri laicali espressi dalla propria comunità e presiedere le comunità parrocchiali insieme ad una «équipe di ministri» con la quale condividere le scelte più importanti e le responsabilità; il diacono, al quale non spetta il ministero della presidenza, bensì quello della diaconia, deve aiutare a moderare la comunità e ad individuare i ministeri che ciascuno può svolgere per il bene comune; i ministeri battesimali – oggi particolarmente valorizzati da papa Francesco che, dicono alcuni, avrebbe così approfondito la riflessione conciliare –, domandano di essere esercitati con una certa stabilità e visibilità e, per questa ragione, di essere «istituiti».

Monsignor Repole ne enumera alcuni: «quello di lettore, di accolito, di animatore-coordinatore della carità e quello, particolarmente importante, di membro dell’équipe-guida di comunità, nelle comunità in cui non c’è il prete residente e tenendo conto che si tratta di un ministero da svolgere in équipe». L’istituzione di questi ministeri dovrà essere declinata con una certa progressione, a seconda che si tratti di territori urbani oppure rurali. Non sono idee nuove e nemmeno configurano schemi originali. Praticamente si propongono i già sperimentati, senza successo, modelli francesi i quali, dopo aver desertificato «la figlia prediletta della Chiesa» e averla consegnata all’Islam, ora vengono propinati anche a noi. Avremo così – sempre meno – sacerdoti che dovranno inserirsi in comunità già strutturate che ne controlleranno e condizioneranno il ministero, riducendolo di fatto alla celebrazione dei Sacramenti.

Il ridisegno delle strutture della diocesi di Torino ha avuto l’onore, il 12 ottobre scorso, di essere illustrato alla trasmissione In cammino di Sat 2000 da Sua Eccellenza in persona che ha spiegato con il consueto garbo e non senza sensatezza il nuovo assetto curiale ed ecclesiale. L’unico punto oggettivamente fragile è la «clericalizzazione dei giovani» in una pastorale pensata per renderli «organici alla diocesi», piuttosto che testimoni nel mondo. Siamo ancora all’opzione e alla visione ideologica di don Giuseppe Dossetti con un apostolato – se ancora si può pronunciare questa parola – che non poggia sul fondamento del battesimo ma che è tutto intraecclesiale.

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A proposito di Dossetti, chi poteva venire a parlare all’inaugurazione della scuola diocesana di formazione politica “Pop” se non Rosy Bindi? La sapiente equidistanza cattolica capace, come diceva don Franco Ardusso, di «distinguere per non confondere» e di valorizzare il bene, ovunque esso sia, nella diocesi di Torino non esiste più. Nel suo intervento davanti all’arcivescovo, l’esponente Pd ha fatto due esempi rispetto ai quali il politico cattolico non dovrebbe fare sconti: la lotta alla povertà e la lotta per la pace. E i valori «non negoziabili» (tutela della vita in tutte le sue fasi, riconoscimento della struttura naturale della famiglia, tutela dei genitori a educare i propri figli)? Quei valori che, come disse Benedetto XVI nel 2006 ai popolari europei, reggono e sostengono tutti gli altri? Rubricati ad «altre sensibilità…». Appare così chiaro che se queste sono le prospettive per il cattolico in politica, uscire dall’attuale insignificanza risulta praticamente impossibile. All’incontro non è mancata la relazione della licenziata in teologia Laura Verrani, coautrice più di un anno fa, di un pamphlet in cui si prendevano di mira – senza mai nominarli – i preti e i religiosi conservatori, accusandoli di ogni male.

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Non ha invece stupito per nulla, la presenza di don Luigi Ciotti alla recente manifestazione della Cgil a Roma, presente il segretario del Pd Elly Schlein. Non soddisfatto del “pre-Sinodo” di Avigliana con il cardinale Matteo Zuppi, che non è andato oltre la presenza di un pugno di preti sessantottini, don Luigi si è lanciato in invettive politiche e rivendicazioni economiche dal palco del maggior sindacato di sinistra. Tutto normale? Tutto lecito? I comizi politici rientrano nel ministero del prete? Sono domande che nessuno più si pone quando si tratta della star don Ciotti. Ma cosa sarebbe successo se un altro prete diocesano avesse fatto un comizio su di un palco di una organizzazione di centro o, peggio, di centrodestra? Sono queste le domande che gran parte del clero – quello che non ha ancora portato all’ammasso il cervello – si pone.

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In questi giorni drammatici di fronte all’attacco compiuto dai militanti islamisti contro Israele che ha colpito donne, bambini, giovani di ogni nazionalità, massacrati o rapiti, è apparsa evidente a tutti la debolezza dell’Occidente, una debolezza che prima di essere politica, è morale e ha la sua radice nella perdita di identità. Pochi giorni prima dell’attacco, nella meditazione tenuta il 1° ottobre ai partecipanti all’assemblea del sinodo dei vescovi, padre Timothy Radcliffe, ex maestro generale dei Domenicani, ha esordito con queste parole: «Quando il Santo Padre mi ha chiesto di predicare questo ritiro, mi sono sentito molto onorato, ma anche nervoso. Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali. Sono anziano, bianco, occidentale e uomo! Non so cosa sia peggio! Tutti questi aspetti della mia identità limitano la mia comprensione. Vi chiedo quindi perdono per l’inadeguatezza delle mie parole». Da parte del successore di San Domenico, di Tommaso De Vio, del beato Cormier o, per rimanere più vicini a noi, dei padri Michael Browne e Aniceto Fernández, sono affermazioni che rivelano non solo il rifiuto – quasi fosse peccaminosa – della propria identità di bianco, di occidentale, di uomo (e pure di prete) ma anche della irrimediabile crisi in cui la Chiesa, nei suoi vertici, è precipitata.

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Dalla città proibita. Così ormai è denominata la cittadella del sinodo, dove il papa ha imposto il «digiuno della parola pubblica». Il 10 ottobre intanto sono stati nominati ed eletti i membri della commissione per la Relazione di Sintesi e della commissione per l’informazione. Tutti naturalmente schierati su di una stessa linea e senza voci discordi. Nelle conferenze stampa parlano solo persone che offrono una visione a senso unico, come quella dove è intervenuto il “padre sinodale” Luca Casarini, storico leader della sinistra antagonista no-global, che ha raccontato la sua conversione e per cui abbiamo il massimo rispetto. Ci permettiamo soltanto di ricordare che Casarini fu espulso da Israele nel 2002 quando si precipitò a Ramallah per fare da scudo umano a Yasser Arafat violando il divieto imposto a lui e ad altri dalle autorità israeliane e che negli anni ha mantenuto la sua polemica antisraeliana.

Come andrà a finire? L’autorevole Ross Douthat, importante opinionista che scrive sul New York Time avanza un previsione e lo fa rispetto alla questione delle benedizioni delle coppie omosessuali che nel metodo appare una continuazione dell’approccio adottato rispetto ai cattolici divorziati risposati: «Combina una riaffermazione formale dell’insegnamento cattolico, in questo caso sull’impossibilità del matrimonio tra presone dello stesso sesso, con un tacito premesso affinché singoli sacerdoti prendano le proprie decisioni sull’offerta di benedizioni a condizione che tali decisioni non siano formalizzate in alcun modo o regolate. L’atto di bilanciamento previsto è quello di inquadrare la liberalizzazione come eccezionale e caso per caso, in modo che i progressisti della Chiesa ottengano le innovazioni che desiderano nella pratica, mentre i conservatori si rassicurano che la teoria è ancora intatta».

Il relatore generale del sinodo, il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, noto nella sua piccola Patria per i grandi successi pastorali, ha esortato ad aprire le porte della Chiesa «a gruppi che potrebbero irritarci perché il loro modo di essere potrebbe apparire una minaccia alla nostra identità». Giusto. Di solito quando si fanno questi appelli finisce che prima si accolgono le persone e poi le loro istanze. Chissà, ci permettiamo di domandare a Sua Eminenza, se fra questi gruppi «irritanti» sono compresi anche quelli che da circa dieci anni vengono descritti come «rigidi», «indietristi», «pelagiani» etc., oppure quelli che – e non sono pochi – condividono i Dubia dei cinque cardinali? O – addirittura! – i fedeli della Messa antica, così ben trattati da Traditiones Custodes? Potrebbero «irritare» Sua Eminenza? O non sarà forse che per vedersi aprire le porte della Chiesa bisogna far parte di qualche gruppo arcobaleno?

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«Anche se ruoli e responsabilità nella vicenda cominciano a uscire dalla nebbia, alcuni dubbi non si sciolgono se non presupponendo la chiara volontà di papa Francesco di salvare Rupnik, il suo lavoro, il suo impero economico». A questa conclusione non è arrivato il solito sito tradizionalista avverso al papa, ma nientedimeno che Adista, la storica e gloriosa agenzia di stampa voce dei cattolici ultra-progressisti. E se lo dicono loro ci sarà da crederci.

Credits: foto Assemblea clero di Lara Reale e Danny Di Girolamo_LaVoceEilTempo

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