Placido azzera il Pd: “Dimettetevi”
06:30 Lunedì 11 Marzo 2013 7Il vice presidente del Consiglio regionale spara a zero sul gruppo dirigente locale. E chiede un passo indietro. “Abbiamo condotto una campagna elettorale inesistente”, figlia di “primarie farlocche”. E nel partito monta il malessere
«I vertici del Pd avrebbero dovuto dimettersi il giorno dopo il voto». Roberto Placido, vice presidente del Consiglio regionale, tra i massimi dirigenti piemontesi del partito è tra coloro che meglio rappresenta il malessere sempre più palpabile nella base e nelle alte sfere democratiche. Il capitombolo elettorale è ancora fresco e il Pd ne conserva tutte le ferite. E tra un mea culpa – “Dovevamo sostenere Matteo Renzi” – che il solo Stefano Esposito, appena eletto a Palazzo Madama, ha recitato pubblicamente, e le innumerevoli analisi della disfatta, c’è già chi apre un fronte e si prepara al redde rationem. Durante l’ultima segreteria regionale Placido è stato tranchant: «Abbiamo condotto una campagna elettorale inesistente a livello locale», figlia di «primarie farlocche» che «ci hanno consegnato delle liste debolissime e per nulla rappresentative». Se non altro perché il grande accusatore è stato escluso dalle consultazioni interne.
Un atto d'accusa che non risparmia nessuno e che crea un’altra faglia in un partito che lentamente sta attraversando le cinque fasi dell’elaborazione di un lutto, passato attraverso il rifiuto – “Siamo il primo partito del Piemonte” -, e la rabbia – “Abbiamo puntato sul cavallo sbagliato”. Mentre a Roma Bersani si proietta verso il momento della contrattazione – “Facciamo un governo con Beppe Grillo”. Mancano la depressione, che, secondo gli studi della psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross, sopraggiunge quando il malato si accorge dell’ineludibile destino e, infine, l’accettazione, che probabilmente coinciderà con il ritorno alle urne.
Il Pd è sempre più in fibrillazione e ai maggiorenti è chiaro che la questione generazionale sarà centrale nella nuova corsa alla leadership. Non è un caso che a livello nazionale si facciano i nomi di veri o presunti enfant prodige come Renzi o Pippo Civati, da guastatori a Messia in un partito che ha bisogno di mostrare un volto nuovo per sopravvivere. E mentre nel partito regionale si fanno avanti giovani militanti e amministratori, sempre meno disposti a seguire in buon ordine le orme dei capibastone in disgrazia, al Comune di Torino persino il capogruppo Stefano Lo Russo cerca di vestire i panni del rinnovatore, pungolando l'azione di Piero Fassino. Forse in questa repentina conversione c'è la delusione per il mancato sostegno alla sua candidatura di quel gruppo di potere che ha il perso nel sindaco di Torino: attraverso un chirurgico sistema di alleanze interne al partito Fassino è stato capace di catapultare verso Montecitorio i fedelissimi Cesare Damiano, Anna Rossomando, Andrea Giorgis e Paola Bragantini, che da quando è deputata ha concentrato su di sé tre cariche: numero uno del partito torinese, presidente della V Circoscrizione e parlamentare. Classico esempio in cui uno vale tre.